Un caso Trevigiano

Rossella Moscariello e Ludovica Zilio

La raccolta di foto, che compongono la prima parte del filmato, è stata scattata nel museo di Villa Lattes,  situato ad Istrana. Ultimo proprietario della sofisticata dimora, progettata da Giorgio Massari, fu proprio Bruno Abramo Lattes. Egli era un uomo di grande cultura, aspetto che riecheggia ancora tra le sue collezioni di stranezze senza tempo conservate nelle stanze dell’antica dimora, dagli incredibili automi e cimeli di viaggio agli oggetti di antiquariato che il visitatore può ammirare. Lo spirito del raffinato viaggiatore, però, riposa ora nel cimitero monumentale di San Lazzaro,  poco fuori Treviso, accanto ai suoi cari. Le ultime immagini sono state scattate nella parte ebraica del cimitero: si può, infatti, osservare l’usanza, tipica di questa comunità,  di riporre ciottoli e sassolini piuttosto che fiori sulle tombe dei defunti, quando si fa loro visita. Sono doni che non appassiscono mai, come il ricordo di questo incredibile uomo!

LA STORIA DI BRUNO LATTES 

di PIETRO PIVA

 Di fronte alle catastrofi, specie le guerre, la reazione più naturale è la disperazione. Oppure lo stupore di fronte all’atteggiamento del tutto diverso di persone direttamente coinvolte in tali eventi. Può risultare pertanto straniante che un ebreo dopo essere scampato alla Shoah si dicesse ottimista. Per quanto sembri curioso, un individuo simile è esistito veramente: il suo nome è Bruno Lattes.

Nato nel 1877, celibe e senza eredi, avvocato trevigiano e discendente di una facoltosa famiglia ebrea, Lattes viene ricordato soprattutto per la sua villa settecentesca ad Istrana fornita di una stravagante collezione di carillon e automi metallici. 

Nel suo libro Memorie di un avvocato ottimista dato alle stampe nel 1946, traccia la sua biografia, gli storici tuttavia indagheranno solo tardivamente su di lui. Fu certamente una figura scomoda sia per la Sinistra, in quanto presunto complice del fascismo, che per la Destra, perché sopravvissuto alle leggi razziali e alla Shoah. In realtà, analizzando gli scritti pubblicati ed editi in pochissime copie per amici e conoscenti, l’immagine che ne esce è quella di un ordinario provinciale benestante. Ben più interessanti, però, sono i suoi rapporti con l’ebraismo e il fascismo. Nei suoi scritti la questione religiosa viene appena accennata, come se fosse cosa irrilevante, come se si sentisse non un ebreo ma un trevigiano facoltoso che, tra gli altri aspetti, è anche ebreo. E nelle poche volte in cui viene accennata, la sua fede viene nominata in modo allusivo, senza dire esplicitamente la parola “ebraismo”, ma usando espressioni come “comodo monoteismo”.

 Lattes si dichiarava apertamente apolitico e voleva sempre dare l’impressione di un uomo dedito al lavoro e ai piaceri della vita: macchine, belle donne, viaggi esotici, buona musica, la compagnia degli amici. Però, il suo fidato servitore Ilario Zanatta, pur ribadendo la mancata adesione dell’avvocato alla politica, ricorda che Lattes era in contatto con diversi capi del fascismo trevigiano e si era reso utile come legale a molti potenti dell’epoca. Dunque, se da una parte non aderì al PNF e non ne fu seguace entusiasta, dall’altra non lo contrastò affatto. Tutto questo gli fu di grande aiuto nel 1938, ma solo per poco. Le leggi razziali di quell’anno colpirono anche i sessantasei ebrei presenti a Treviso. Di essi solo sette vennero “discriminati” per “eccezionali benemerenze accertate”, tra cui Lattes stesso. I “discriminati” non potevano insegnare nelle scuole e sposarsi con gli “ariani”, ma per il resto godevano pressappoco degli stessi diritti degli altri cittadini. 

Essere “discriminati” significava avere un salvacondotto per tempi migliori, così si pensava in un periodo in cui non si poteva immaginare la “soluzione finale”. E’ lo stesso Lattes a chiarire come riuscì a salvarsi. Incuriosisce quali fossero le discriminazioni che gli consentirono di evitare un destino crudele. Le versioni da lui raccontate comunque risultano contradditorie: inizialmente afferma che la “discriminazione” era dovuta ai meriti patriottici del nonno Abramo durante il Risorgimento, due anni più tardi ritornando sull’argomento ammette invece di aver corrotto i dirigenti fascisti. In realtà sembra che Lattes non abbia dovuto ricorrere alla corruzione: nel dicembre 1938 presenta una domanda di ben dieci pagine per ottenere l’agognata “discriminazione”. 

Tra le imprese elenca: favoritismo del PNF, finanziamento de La Camicia Nera (quotidiano trevigiano filofascista) e del Partito stesso, opposizione alla Lega Bianca e Rossa (movimenti a favore dei piccoli proprietari terrieri e degli operai, guidati rispettivamente dai cattolici e dai socialisti) e impegno nella bonifica agraria. La richiesta viene respinta dalla segreteria federale del PNF per la mancata adesione di Lattes al partito, pur riconoscendone la buona condotta morale e politica. Improvvisamente, però, nel marzo 1940 il Ministro dell’Interno e la federazione fascista di Treviso si esprimono in suo favore e così due mesi dopo viene ufficializzata la sua “discriminazione”. Nell’estate del 1941 l’avvocato, ormai vecchio e malato, viene fotografato mentre il fidato Zanatta lo trasporta su un carretto a mo’ di risciò, essendo vietato l’uso dell’automobile alla domenica. Lattes viene accusato di “ostentare un potere eccezionale di cui nessuno può fargli credito facendosi trainare come un nababbo da un purissimo ariano fascista”. 

Per questo motivo gli viene revocata la possibilità di avere persone di servizio, ma non i privilegi ottenuti appena un anno prima. Dopo l’8 settembre molti ebrei presenti nel Trevigiano hanno il tempo di scappare prima dell’arrivo dei tedeschi. Tra i sessantasei già censiti vi sono anche i sette “discriminati”. Costretto alla fuga, Lattes si rifugia a Lugano in Svizzera, dove passerà due anni di estrema malinconia. Ritornato in Italia, una volta finita la guerra, morirà di infarto nel 1953. Nel prologo del breve testo romanzato che parla della sua villa, Lattes sostiene che il fascismo, la guerra e forse la Shoah in generale hanno lasciato in eredità un’Italia dalla “faccia irosa e corrucciata”, un paese ferito sia nel corpo che nell’anima e che deve ritrovare la sua “alacre serenità”. Da parte sua afferma: “non posso e non voglio aggiungere a tanto male il ricordo di altri mali che […] non cesserebbero di essere dolorosi per chi li racconta e per chi li legge”. 

Negli ultimi anni della sua vita, si dedicò ai viaggi per abbellire la villa e accrescere la sua preziosa collezione: dipinti, stampe, avori intagliati, pietre lavorate, in gran parte trafugati dopo ripetuti furti avvenuti nella dimora. Come testamento, Lattes aveva chiesto alla sua città di proteggere l’elegante edificio e la collezione ospitata, per tutelare la memoria di un cittadino ricco, colto, eccentrico, accidentalmente anche ebreo. Inutile dire che anche in questo Bruno Lattes si rivelò fin troppo ottimista. 

Fonti utilizzate: Ivo Dalla Costa, Roberto Pignatiello, Federico Maistrello; La persecuzione degli ebrei in provincia di Treviso (1938-1945); ISTRESCO, Marca Print; 2006 

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